Leggo con sempre più fastidio e insofferenza i commenti sui giornali riguardanti quei “fannulloni” che prestano la propria opera alle dipendenze dello Stato e degli enti pubblici. La corrente di pensiero che individua quale capro espiatorio dei guai dell’Italia il pubblico dipendente è stata iniziata dalla fervida mente di un ex sindacalista, oggi professore universitario (quindi appartenente anche lui alla deprecata categoria), che ne ha cavato fuori il solito instant book, cavalcando l’onda del liberismo di stampo vagamente berlusconiano che individua nell’imprenditore l’unico soggetto capace di risollevare le italiche sorti, l’unico che “produce” a favore della società. Fa ridere sentire i rappresentanti degli industriali pontificare sul merito. Fa incazzare sentire gli imprenditori e i capitalisti italiani rivendicare un ruolo di primo piano nel risanamento del Paese, quando l’unica cosa che storicamente sono stati capaci di fare è privatizzare i profitti e collettivizzare le perdite. Tale categoria produttiva notoriamente specula erodendo i diritti dei lavoratori per aumentare il profitto, che non viene certo condiviso (le dichiarazioni dei redditi degli orafi che guadagnano meno degli operai ne sono un esempio), bensì imboscato all’estero... poi, quando le cose vanno male, si ricorre allo Stato, col solito ricatto, “sono in gioco migliaia di posti di lavoro”, certo... tanto tocca alla collettività sostenere il peso delle scelte sbagliate di certi paladini del liberismo.
Vogliamo parlare delle aziende che “delocalizzano” (leggasi: “chiudono le fabbriche in Italia per riaprirle in Stati così poveri da accettare lo sfruttamento schiavistico della propria manodopera, pur di mangiare le briciole che le imprese estere gli lasciano”)? Begli imprenditori, quelli, meritevoli, certo.
Ma, a parte la premessa (un po’ velenosa, ma non se ne può più di sentire certe panzane spacciate come verità universali) una cosa che non sopporto è sentire parlare del recente accordo Governo-Sindacati sul contratto economico degli statali come se fosse stata una vittoria per i lavoratori dipendenti. I commenti, pressoché unanimi, di giornalisti che nella migliore delle ipotesi hanno il prosciutto sugli occhi e nella peggiore, falsano la realtà a beneficio degli attori della vicenda, hanno dell’incredibile e suonano tutti così: il Governo ha calato le braghe davanti ai fannulloni.
È vero? Vediamo un po’ in dettaglio i termini dell’accordo:
- l’aumento accordato ammonta a 101 € lordi (in busta paga, se va bene, ne arriveranno 40-50 netti, che non corrispondono certo all’aumento dell’inflazione - senza parlare dell’aumento della pressione fiscale che normalmente in pochi mesi quei pochi euro se li mangia con le trattenute sulla busta paga);
- sono state cancellate tutte le differenze retributive relative all'anno 2006, anno in cui il vecchio contratto è scaduto. Il Governo ha calato così tanto le braghe che un anno di differenze retributive non sarà mai corrisposto ai lavoratori;
- le differenze retributive relative al 2007, dovute da febbraio (non gennaio, non si sa perché), i pubblici dipendenti le vedranno in busta solo alla fine del 2007 (probabilmente per il solito motivo: mancano i soldi);
- il contratto è diventato da biennale a triennale, quindi quei 40 € netti in busta paga, i dipendenti se li dovranno fare bastare per 3 anni, non più 2. A questo proposito, al fine di indorare la pillola, è stato detto che il triennio economico è solo una sperimentazione, ma sappiamo bene che in Italia gli esperimenti durano a lungo: per fare un esempio, i Tribunali hanno ospitato il registro delle imprese presso le proprie cancellerie, in via provvisoria, s’intende, per 50 anni;
- (conseguenza del punto precedente) basandoci sull’esperienza degli ultimi anni, il contratto triennale sarà con ogni probabilità rinnovato con un ritardo rispetto alla sua scadenza stimabile in 2/3 anni (come già avviene adesso, il nuovo contratto biennale nuovo è sempre stato firmato a pochi mesi del temine finale della sua vigenza). C’è da attendersi che i sindacati acconsentiranno all’eliminazione retroattiva di più anni di differenze retributive, come quest'anno è avvenuto per il solo 2006.
In sintesi, si tratta proprio di una grande vittoria dei pubblici dipendenti. Con buona pace di tutti quelli che nel settore pubblico lavorano sul serio e sono additati e trattati alla stregua di nullafacenti. Proprio bello lavorare nel pubblico impiego: mansioni da laureati e stipendi da operai, quando con la disinformazione che i giornali stanno facendo su questo rinnovo contrattuale, sembra quasi che i sindacati abbiano riportato una vittoria epocale. In realtà si sono smutandati con un Governo che, nei confronti dei lavoratori dipendenti, forse è riuscito a fare anche peggio del precedente.
Un bel primato, non c’è che dire.
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