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mauro paternò?!

23 agosto 2009

Friendship is an overestimated value

Lo so, niente di trascendentale per rompere mesi di silenzio. Evvabbè, che posso dire, mica sono un genio della scrittura con un blog seguitissimo. Ho una pagina piena di annotazioni più o meno personali, le leggo praticamente solo io. Quindi, posso mettere online anche scorregge e le scoperte dell'acqua calda. Anche questa, pertanto.

Di recente, dopo alcune delusioni da parte di vari amici – o meglio, persone che io ritenevo essere amici – piccole (e ripetute) o grandi (epocali, quasi) che fossero, ho analizzato un po' più approfonditamente la natura dei miei rapporti interpersonali e mi sono reso conto, con un certo sconcerto, che in realtà gli amici si contano sulle dita di una mano.
Oddio, lo so anche io che i veri amici sono pochissimi, se mai se ne hanno nella vita. Ma come chiamare altrimenti le persone di cui mi circondo, quelle che frequento abitualmente e che per me rappresentano qualcosa di più dei semplici conoscenti? Come chiamarli, se non amici? Io li ho sempre definiti così.
Tuttavia la parola giusta non è questa, bisogna cambiarla, perché quelli che normalmente consideriamo amici, in realtà sono solo compagni di viaggio. Ci si condivide un tratto di strada, finché si ha la ventura di doverla percorrere insieme, tutto qui. E, fino a quando il cammino comune dura, ci si cerca, ci si incontra, si condividono anche esperienze, momenti, pensieri, impressioni, riflessioni, divertimenti, angosce... Ma quando le circostanze che hanno portato le persone ad avvicinarsi – interessi comuni, vicinanza geografica, fidanzate – cambiano, ognuno parte per la propria strada e, più o meno repentinamente come si era diventati amici, non lo si è più. Si torna sconosciuti come prima, con un taglio netto, magari nemmeno con un discorso vis-a-vis, ma a mezzo sms, o email.
Questa regola sembra essere universalmente conosciuta e accettata da tutti, dato il comportamento di generale disinvoltura nella gestione dei rapporti interpersonali da parte della ggente.
Ma ciò non mi impedisce di restarci un po' male ogni volta che succede. Voglio dire, che ognuno vada per la sua strada, per carità. Ma io sono uno di quelli che ci crede, all'amicizia, che ogni volta ci mette l'impegno e tutto il resto, per gli “amici”. Quindi ogni volta che un compagno di viaggio parte per la sua strada io ci rimugino pure sopra, perdo un po' di tempo a cercare di capire quale grave errore posso avere compiuto per causare l'uscita di scena del compagno di viaggio di turno.
In realtà alla fine non c'è nessuno sgarro, nessuna cazzata madornale commessa: è che semplicemente a volte succede di cambiare vita, ragazza, lavoro, sport, circolo degli scacchi, città, supermarket dove si fa la spesa, o bar per il caffè delle 9.10. Capita. E allora, quelli che consideri amici si rivelano essere stati dei semplici compagni di viaggio.
Torno alla domanda fondamentale: visto che la parola “amici” deve essere usata solo ed esclusivamente per gli
amici veri, quelli che forse esistono solo nel nostro ideale, per intenderci – poiché, come diceva qualcuno, le parole sono importanti e, a furia di utilizzare quelle sbagliate, si finisce pure col credervi – come ribattezzare coloro che frequentiamo con assiduità, con cui passiamo la maggior parte del nostro tempo libero, che chiamiamo amici ma che sappiamo che, da un momento all'altro, possono sparire nel nulla oppure stupirci con qualche azione che denota la reale natura di non amicizia del reciproco rapporto? “Conoscenti qualificati” è una buona definizione, perché inquadra perfettamente la natura della stragrande maggioranza dei normali rapporti interpersonali e contemporaneamente impedisce di riporvi troppe aspettative, aiutandoci a mantenere la giusta distanza dai compagni di viaggio, in previsione dell'immancabile rivelazione/delusione.

Però c'è un problema: sfido chiunque ad utilizzarla normalmente.

Ti devo proprio presentare Antonio, mio conoscente qualificato da un anno e mezzo, è troppo simpatico.
Luca, questo è il mio conoscente qualificato Maurizio.
Sai che ho un conoscente qualificato che la pensa esattamente come te?

Sono tutte frasi che, per quanto veritiere ed affidabili, non suonano bene, magari i diretti interessati si potrebbero anche offendere (esiste, infatti, un comma 22 che impone ai compagni di viaggio di fingere di non essere tali nei rapporti interpersonali) quindi si finisce ineluttabilmente ad utilizzare
quell'altra parola, la parola che indica il sacro ideale irrealizzabile e, per forza di cose, ne consegue l'inevitabile confusione fra ideale e reale, il cui scotto da pagare è costituito dalla differenza fra illusione e disillusione, con tutte le conseguenze spiacevoli del caso.

Mi sa che non se ne esce.